Muoversi 4 2021
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LA POLITICA DEVE OFFRIRE SOLUZIONI PRAGMATICHE E NON IDEOLOGICHE

LA POLITICA DEVE OFFRIRE SOLUZIONI PRAGMATICHE E NON IDEOLOGICHE

intervista a Paolo Arrigoni

Paolo Arrigoni

Responsabile Dipartimento Energia della Lega Nord

Il pacchetto “Fit for 55” prevede una serie di misure che avranno impatto su molte filiere industriali. Vede più rischi o opportunità?

Sicuramente il pacchetto è coerente con l’obiettivo della decarbonizzazione, anche se va ricordato che l’Europa è responsabile solo del 9% delle emissioni di CO2 globali e non è che gli altri paesi si stiano ponendo obiettivi vincolanti. Può presentare delle opportunità, ma anche dei rischi soprattutto se sulla transizione ecologica non si procede con gradualità, se viene violato il principio della neutralità tecnologica e se non si pensa al rischio di demolizione di filiere industriali come quella dell’automotive o della raffinazione che si sta trasformando. Poi ci sono anche rischi connessi ai temi di attualità. Pochi tengono conto dei riflessi di questa transizione sul “caro energia”. Già ne stiamo avvertendo le conseguenze. Se al costo della CO2 che cresce si unisce la mancanza del gas, che è fondamentale per accompagnare la transizione ecologica, e le rinnovabili non ce la fanno a sopperire per limiti produttivi, come è successo all’eolico con la bonaccia nel Mare del Nord, abbiamo la tempesta perfetta. Non dico che sia tutta colpa della transizione, ma è evidente che ha una responsabilità nel “caro bollette”. Quanto sta accadendo sarà anche congiunturale, ma può assumere caratteristiche strutturali se non badiamo adeguatamente al tema della dipendenza energetica dalle fonti estere e alla diversificazione degli approvvigionamenti. In questo senso il pacchetto “Fit for 55” presenta elementi di seria preoccupazione. È pericoloso tagliare i ponti con il passato senza reali alternative. Bisogna evitare di fare il passo più lungo della gamba, procedere con gradualità e tenere insieme la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale per evitare di andare a sbattere.

Non dico che sia tutta colpa della transizione, ma è evidente che ha una responsabilità nel “caro bollette”. Quanto sta accadendo sarà anche congiunturale, ma può assumere caratteristiche strutturali

Il Governo ha attivato diversi gruppi di lavoro sulle singole proposte legislative del pacchetto “Fit for 55”. Quale il ruolo del Parlamento e quali le aree prioritarie di intervento?   

L’atto di Governo sulla transizione (PTE) è stato già trasmesso al Parlamento e avremo tutto il mese di ottobre per formulare osservazioni e richieste. Per noi è importante il tema della mobilità e soprattutto l’ipotesi di messa a bando dal 2035 dei motori a combustione interna. C’è preoccupazione anche sul sistema ETS che la proposta vorrebbe ampliare ad altri settori, mentre riteniamo positiva l’introduzione del CBAM (Carbon border adjustment mechanism) per evitare fenomeni di carbon leakage. Chiediamo però di fare attenzione affinché questo meccanismo sia equilibrato e non costituisca un rischio per le nostre imprese che esportano. Penso, ad esempio, all’industria della ceramica che esporta i 4/5 della sua produzione. Anche il tema dell’efficientamento energetico per noi è rilevante. Capisco l’entusiasmo per il superbonus, ma bisogna valutarne bene i costi e i benefici. Ci sono altri strumenti come i certificati bianchi o il potenziale del teleriscaldamento e teleraffrescamento. Poi lo sviluppo delle rinnovabili. Non c’è solo fotovoltaico o eolico che, sebbene la faranno sicuramente da padrone, non sono programmabili e dunque introducono forti elementi di criticità per la sicurezza delle forniture. Oltre allo sviluppo di sistemi di capacità di stoccaggio bisogna pensare allo sviluppo e al sostegno di altre fonti rinnovabili come l’idroelettrico o la geotermia, poco sfruttata, o anche le biomasse. Ci vuole pragmatismo e va assolutamente bandita l’ideologia ambientalista. Credo che spazi di manovra per correggere il tiro ci siano anche se non sono ampi. Bisogna insistere. Abbiamo un Ministro della Transizione ecologica aperto al confronto e al ragionamento, come ad esempio sul nucleare di quarta generazione.
Se vogliamo arrivare alla neutralità climatica al 2050 non possiamo pensare di farlo solo con fotovoltaico e eolico che hanno dei limiti anche di accettabilità sociale. Vedo poi una certa incoerenza tra le diverse proposte. Se introduci al 2030 un obbligo del 16% di biocarburanti nei trasporti che presuppone investimenti e dopo 5 anni dici che non si possono più usare perché metti al bando i motori a combustione interna non va bene. Come può l’industria investire in simile contesto?

Il pacchetto “Fit for 55” prevede, appunto, la messa al bando dei motori a combustione interna entro il 2035. Ciò mette a rischio non solo il settore automotive, ma anche intere filiere produttive ad esso collegate. Secondo lei c’è la consapevolezza dei rischi sociali che si corrono seguendo questo approccio molto ideologico e poco pragmatico?

Non credo che si abbia piena consapevolezza dei rischi che si corrono seguendo questa strada. Noi ne siamo perfettamente coscienti e non manchiamo di farlo presente in ogni occasione. Altri partiti non hanno questa sensibilità. È evidente che prevedere una riduzione del 100% delle emissioni delle auto è di fatto una messa al bando dei motori a combustione interna euro 6 e dei prossimi euro 7. Questo vale anche per le ibride che hanno pur sempre un motore termico. È un intervento a gamba tesa su investimenti, ricerca e sviluppo di carburanti low carbon. Non abbiamo pregiudizi sulle auto elettriche, ma dire che è una mobilità che offre all’utenza solo vantaggi non è vero. Ci sono tante criticità da risolvere: il problema del costo di acquisto che è alto e solo pochi se lo possono permettere, gli ingenti contributi pubblici che servono per muovere il mercato che pesano sulla fiscalità generale, una carenza infrastrutturale, l’autonomia, tempi e costi ricarica. Forse bisognerebbe prima pensare ai 30 milioni di auto ante euro 5 che circolano sulle nostre strade che sono molto inquinanti. Non si può prescindere dal fatto che per le auto elettriche serve una quantità di energia rinnovabile che non abbiamo viste le difficoltà a raggiungere gli obiettivi fissati dal PNIEC su cui siamo molto in ritardo (come velocità di installazione di nuova capacità siamo al 10% degli obiettivi). Rinnovabili nutrite da grossi incentivi che si scaricano sugli oneri di sistema e cioè sulle bollette di imprese e famiglie. Stiamo parlando di 12 di miliardi all’anno. Con questa nuova mobilità non è più opportuno continuare a fare riferimento ad un sistema di calcolo delle emissioni basato sul “tank to wheel”, serve passare ad uno che tenga conto dell’intero ciclo di vita, il Life cycle assessment, che valuti per intero l’impronta carbonica delle diverse soluzioni. Lo abbiamo chiesto più volte e qualche apertura l’abbiamo ottenuta in alcuni pareri al Governo. C’è poi un aspetto rilevante che molti trascurano e cioè quello geopolitico. Questo processo richiederà molte più materie prime minerali di quante ne sono servite sino ad oggi. Un rapporto dell’IEA dice che per le batterie serviranno 6 volte i minerali che usiamo oggi, per il fotovoltaico 7 volte, mentre per l’eolico 9 volte. Le concessioni per lo sfruttamento di queste materie prime, concentrate in poche aree del mondo, sono in gran parte detenute dalla Cina.

Sarà la realtà, che già sta cominciando a farsi sentire su imprese e cittadini, a fare aprire gli occhi. Non vorrei trovarmi un giorno con un black-out di ore o giorni in qualche parte del Paese perché ci siamo basati troppo sulle rinnovabili senza garantire la sicurezza del sistema energetico. Ai policy maker spetta il compito di offrire soluzioni pragmatiche e non ideologiche. I risultati sarebbero sicuramente migliori in termini decarbonizzazione, contenimento dei costi delle bollette e di tutela e sostegno alle filiere produttive.